In Corte d’Appello viene confermato il coinvolgimento di Matteo Messina Denaro nelle stragi mafiose del 1992.
L’ex super latitante Matteo Messina Denaro era stato accusato di essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Precedentemente condannato all’ergastolo, il pubblico ministero ha chiesto la conferma della condanna, giunta oggi dai giudici della Corte d’assise d’Appello di Caltanissetta.
La condanna all’ergastolo
Nel giudizio di primo grado del 2020, Messina Denaro era stato condannato in contumacia all’ergastolo. Il boss tuttavia ha sempre rinunciato a comparire in videocollegamento dal carcere dell’Aquila, dove è attualmente detenuto.
Oggi la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta – nel giorno del 31esimo anniversario della strage di via D’Amelio – ha confermato la condanna, accogliendo la richiesta avanzata dai procuratori generali Antonino Patti, Fabiola Furnari e Gaetano Bono. Anche questa volta l’ex super latitante ha rinunciato a collegarsi dal carcere in cui è detenuto per ascoltare la sentenza.
Il procuratore Antonino Patti, ha confermato la condanna dichiarando: “Chi è Matteo Messina Denaro? È certamente un mafioso. Ha quattro condanne per 416bis, riferite a tempi diversi. È certamente un assassino perché dal casellario giudiziale mi risulta essere stato condannato per sette stragi e una ventina di omicidi”.
La difesa di Messina Denaro
Nel corso della sua arringa il legale del boss, Adriana Vella, che invece aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato, ha sostenuto “l’assoluta incertezza dell’effettivo ruolo che Matteo Messina Denaro rivestiva all’interno della compagine mafiosa trapanese”.
Per l’avvocato non ci sarebbero stati “elementi indiziari gravi precisi e concordanti in merito alla partecipazione dell’imputato in seno alle riunioni in cui fu deliberato il piano stragista”. Incerto anche il concorso morale, “in merito agli attentati di Capaci e di via D’Amelio di cui sarebbe responsabile” il boss di Cosa Nostra.
Dopo l’arringa, il boss avrebbe anche scritto un telegramma alla sua legale, complimentandosi e chiedendo la disponibilità ad avere un colloquio telefonico, che poi non si sarebbe comunque svolto. Il messaggio si sarebbe concluso con: “Buona vita, del poco che so, mi è piaciuta la sua arringa”.